Interpretare in maniera “troppo restrittiva” il concetto di rifiuto impone sovente alle aziende costi superflui ed elevati, finendo per proibire alle stesse aziende la possibilità di far entrare materiale nel circuito economico, laddove interpretare in maniera “troppo rilassata” potrebbe generare danni ambientali, quindi pesanti (e meritate) sanzioni.

La sottile linea di demarcazione fra queste due casistiche sancisce la differenza tra sottoprodotto e rifiuto.

Sottoprodotti: cosa sono

Perché un oggetto possa essere considerato sottoprodotto anziché rifiuto, è necessario che esso provenga da un processo di produzione e possa essere riutilizzato in futuro senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale.

Il Decreto del Ministero dell’Ambiente 13 ottobre 2016 n. 264 contiene le indicazioni dei criteri che agevolano la dimostrazione della sussistenza dei requisiti necessari affinché un residuo di produzione sia considerabile come sottoprodotto e non come rifiuto.

Materie prime secondarie: riconoscerle in 4 punti

Ai sensi dell’art. 184-bis, introdotto nel D. Lgs. 152/2006, i 4 punti da rispettare affinché un residuo possa essere considerato sottoprodotto sono i seguenti:

1. La sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto

2. È certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi

3. La sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale

4. L’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana

Sottoprodotti: alcuni esempi

Alcuni esempi di sottoprodotti sono:

  • I noccioli di pesca e albicocca, i quali sono infine utilizzabili come biomasse combustibili od in impianti per la produzione di biogas. Essi inoltre vengono impiegati nell’industria cosmetica e farmaceutica
  • Il liquor nero, che si ottiene come residuo della fase di lisciviazione del legno nel processo industriale di produzione della pasta di legno chemimeccanica
  • Le polveri e gli impasti da ceramica cruda, provenienti dal processo di depolverizzazione a monte del trattamento termico
  • Le deiezioni avicole
  • I residui della lavorazione di materie plastiche, costituiti da rifili di taglio delle attività di tranciatura del prodotto finito o rifilatura del semilavorato che non rispecchiano le specifiche di vendita

Riutilizzo degli scarti di lavorazione, importante valore economico

Grandi sono i vantaggi economici derivanti dal riutilizzo degli scarti di lavorazione. Il recupero degli scarti, infatti, oltre a consentire un risparmio sullo smaltimento dei rifiuti, permette di risparmiare su eventuali costi di produzione. Questo tipo di economia, definibile come “circolare”, consentirebbe inoltre di non tediare oltre il dovuto il pianeta generando in esso una quantità di rifiuti inutilizzabili.

Come direbbe Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma!

Scegliere di adottare buone e corrette abitudini per la gestione dei rifiuti nel proprio quotidiano non è solo un gesto di civiltà, ma soprattutto una presa di coscienza per:

  • diminuire la quantità di rifiuti e risorse
  • risparmiare energia con cui creare nuovi prodotti dalla materia prima iniziale
  • abbassare le emissioni di gas a effetto serra, ossia l’inquinamento, che sono la causa principale del cambiamento climatico
  • sostenere l’ambiente per le generazioni future

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